F.I.G.C. – CORTE FEDERALE – 2006/2007 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 6/CF del 01 settembre 2006 1. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DELLA SOCIETA’ REGGINA CALCIO S.p.A. AVVERSO LE SANZIONI DELLA PENALIZZAZIONE DI QUINDICI PUNTI IN CLASSIFICA DA SCONTARSI NELLA STAGIONE SPORTIVA 2006-2007, OLTRE ALL’AMMENDA DI EURO 100.000,00 (CENTOMILA) INFLITTE A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 5/C del 17 agosto 2006) 2.RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DEL SIG. PASQUALE FOTI AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE DI ANNI DUE E MESI SEI, OLTRE A QUELLA DELL’AMMENDA DI EURO 30.000,00 (TRENTAMILA) INFLITTEGLI A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n.5/C del 17 agosto 2006) 3. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DEL PROCURATORE FEDERALE AVVERSO DECISIONI A SEGUITO DI PROPRIO DEFERIMENTO A CARICO DELLA REGGINA CALCIO S.p.A E ALTRI (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 5/C del 17 agosto 2006) 4.RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DELLA SOCIETA’ U.S. LECCE S.p.A. AVVERSO DECISIONI A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE A CARICO DELLA REGGINA CALCIO S.p.A. E ALTRI (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 5/C del 17 agosto 2006) 5. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DELLA SOCIETA’ BRESCIA CALCIO S.P.A. AVVERSO LE DECISIONI A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE A CARICO DELLA REGGINA CALCIO S.p.A. E ALTRI (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 5/C del 17 agosto 2006) 6. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DELLA SOCIETA’ TREVISO F.B.C. 1993 S.RL. AVVERSO DECISIONI A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE A CARICO DELLA REGGINA CALCIO S.p.A. E ALTRI (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 5/C del 17 agosto 2006)

F.I.G.C. – CORTE FEDERALE – 2006/2007 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 6/CF del 01 settembre 2006 1. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DELLA SOCIETA’ REGGINA CALCIO S.p.A. AVVERSO LE SANZIONI DELLA PENALIZZAZIONE DI QUINDICI PUNTI IN CLASSIFICA DA SCONTARSI NELLA STAGIONE SPORTIVA 2006-2007, OLTRE ALL’AMMENDA DI EURO 100.000,00 (CENTOMILA) INFLITTE A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 5/C del 17 agosto 2006) 2.RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DEL SIG. PASQUALE FOTI AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE DI ANNI DUE E MESI SEI, OLTRE A QUELLA DELL’AMMENDA DI EURO 30.000,00 (TRENTAMILA) INFLITTEGLI A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n.5/C del 17 agosto 2006) 3. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DEL PROCURATORE FEDERALE AVVERSO DECISIONI A SEGUITO DI PROPRIO DEFERIMENTO A CARICO DELLA REGGINA CALCIO S.p.A E ALTRI (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 5/C del 17 agosto 2006) 4.RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DELLA SOCIETA’ U.S. LECCE S.p.A. AVVERSO DECISIONI A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE A CARICO DELLA REGGINA CALCIO S.p.A. E ALTRI (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 5/C del 17 agosto 2006) 5. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DELLA SOCIETA’ BRESCIA CALCIO S.P.A. AVVERSO LE DECISIONI A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE A CARICO DELLA REGGINA CALCIO S.p.A. E ALTRI (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 5/C del 17 agosto 2006) 6. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DELLA SOCIETA’ TREVISO F.B.C. 1993 S.RL. AVVERSO DECISIONI A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE A CARICO DELLA REGGINA CALCIO S.p.A. E ALTRI (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 5/C del 17 agosto 2006) Pertanto, la Corte Federale ha pronunciato la seguente decisione, in merito agli appelli in epigrafe specificati, sulla base delle osservazioni che seguono. I. ATTO DI DEFERIMENTO Invero, il presente procedimento trae origine dai deferimenti disposti in data 7 agosto 2006 dal Procuratore Federale nei confronti delle seguenti persone fisiche e della persona giuridica Reggina Calcio s.p.a.: 1. Pasquale Foti, presidente della società Reggina Calcio S.P.A.; 2. La società Reggina Calcio S.P.A.; 3. Paolo Dondarini, tesserato F.I.G.C. in qualità di arbitro CAN A e B; 4. Tiziano Pieri, tesserato F.I.G.C. in qualità di arbitro CAN A e B; per rispondere: 1. Pasquale Foti per la violazione dell’art. 1, comma 1, CGS e la violazione dell’art. 6, commi 1 e 2, C.G.S. per aver posto in essere, unitamente a Paolo Bergamo, in ordine al quale sussiste difetto di giurisdizione, giusta pronuncia della CAF del 14 luglio 2006, nella rispettive qualità ricoperte all’epoca dei fatti, le condotte come descritte nella parte motiva, in particolare nella sezione III, ai punti 3, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12 e 13, consistite, fra l’altro, nell’avere intrattenuto i contatti sopra menzionati; condotte contrarie ai principi di lealtà, probità e correttezza e, al contempo, in concorso formale, dirette a procurare un vantaggio in classifica in favore della società Reggina, mediante il condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale e la lesione dei principi di alterità, terzietà, imparzialità ed indipendenza tipici della funzione arbitrale. Con l’aggravante di cui al comma 6 dell’art. 6 CGS, per la pluralità di condotte poste in essere; 2. La società Reggina per responsabilità diretta e presunta ai sensi degli art. 6, 9, comma 3, e 2, comma 4, CGS per quanto ascritto nel capo che precede al suo dirigente con legale rappresentanza e all’altro soggetto (Bergamo) non tesserato per la predetta società. Con l’aggravante di cui al comma 6 dell’art. 6 CGS, per la pluralità di condotte poste in essere; 3. Pasquale Foti, Presidente della Reggina, per avere in prima persona avviato e coltivato contatti con il designatore arbitrale Paolo Bergamo (in ordine al quale sussiste difetto di giurisdizione, giusta pronuncia della CAF del 14 luglio 2006) finalizzati ad esercitare pressioni e ad operare il condizionamento sui componenti la terna arbitrale della gara Atalanta – Reggina del 28112004, così ponendo in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara medesima, in violazione dell’art. 6 commi 1 e 2 C.G.S., come descritto nella parte motiva relativa alla gara in oggetto; 4. La società Reggina, a titolo di responsabilità diretta e presunta, ai sensi dell’art 6, commi 3 e 4, dell’art. 2, comma 4, e dell’art. 9, comma 3, del C.G.S. con riferimento alle condotte sopra descritte, rispettivamente tenute dal suo legale rappresentante e da Bergamo nel suo interesse; 5. Pasquale Foti, Presidente della Reggina, per avere in prima persona avviato e coltivato contatti con il designatore arbitrale Paolo Bergamo (in ordine al quale sussiste difetto di giurisdizione, giusta pronuncia della CAF del 14 luglio 2006) finalizzati ad esercitare pressioni e ad operare il condizionamento del direttore di gara della partita Sampdoria – Reggina del 2022005, così ponendo in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara medesima, in violazione dell’art. 6 commi 1 e 2 C.G.S., come descritto nella parte motiva relativa alla gara in oggetto; 6. La società Reggina, a titolo di responsabilità diretta e presunta, ai sensi dell’art 6, commi 3 e 4, dell’art. 2, comma 4, e dell’art. 9, comma 3, del C.G.S. con riferimento alle condotte sopra descritte, rispettivamente tenute dal suo legale rappresentante e da Bergamo nel suo interesse; 7. Paolo Dondarini, arbitro della partita sub 5, per non aver adempiuto all’obbligo di informare senza indugio i competenti organi federali di essere venuto a conoscenza che terzi avevano posto o stavano per porre in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara medesima, in violazione dell’art. 6, comma 7, del C.G.S., come descritto nella parte motiva relativa alla gara in oggetto; 8. Pasquale Foti, Presidente della Reggina, per avere in prima persona avviato e coltivato contatti con il designatore arbitrale Paolo Bergamo (in ordine al quale sussiste difetto di giurisdizione, giusta pronuncia della CAF del 14 luglio 2006) finalizzati ad esercitare pressioni e ad operare il condizionamento del direttore di gara della partita Palermo – Reggina del 1552005, così ponendo in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara medesima, in violazione dell’art. 6 commi 1 e 2 C.G.S., come descritto nella parte motiva relativa alla gara in oggetto; 9. La società Reggina, a titolo di responsabilità diretta e presunta, ai sensi dell’art 6, commi 3 e 4, dell’art. 2, comma 4, e dell’art. 9, comma 3, del C.G.S. con riferimento alle condotte sopra descritte, rispettivamente tenute dal suo legale rappresentante e da Bergamo nel suo interesse; 10. Tiziano Pieri, arbitro della partita sub 8, per non aver adempiuto all’obbligo di informare senza indugio i competenti organi federali di essere venuto a conoscenza che terzi avevano posto o stavano per porre in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara medesima, in violazione dell’art.6, comma 7, del C.G.S., come descritto nella parte motiva relativa alla gara in oggetto; 11. Con l’aggravante di cui al comma 6 dell’art. 6 CGS, per la pluralità di condotte poste in essere, a carico del Foti e della Reggina. II. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto del 7 agosto 2006, conseguente alla motivata relazione dell’Ufficio indagini del 31 luglio precedente, il Procuratore Federale deferiva alla Commissione di Appello Federale: 1. Pasquale Foti, Presidente della Reggina Calcio s.p.a., per una triplice serie di violazioni degli artt. 1, comma 1 del codice di giustizia sportiva e 6, commi 1 e 2 dello stesso codice, per avere, in concorso con Paolo Bergamo, nel frattempo dimessosi con l’effetto della esclusione della giurisdizione federale nei suoi confronti, affermata con decisione definitiva, posto in essere condotte contrarie ai doveri generali di cui alla prima delle disposizioni citate e concorrentemente dirette a provocare un vantaggio in classifica alla società da lui presieduta, mediante il condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale e della relativa terzietà, in relazione a numerose gare disputate dalla Reggina nel campionato di serie A 2004/2005; per avere, inoltre, posto in essere specifiche condotte, attraverso impropri contatti con il designatore arbitrale Paolo Bergamo, volti all’alterazione, mediante indebiti pressioni e condizionamenti nei confronti della terna arbitrale e del Direttore di gara, in relazione alle partite Atlanta-Reggina del 28 novembre 2004, Sampdoria-Reggina del 20 febbraio 2005 e Palermo- Reggina del 15 maggio 2005; 2. La Società Reggina a titolo di responsabilità diretta e presunta (per i fatti del Bergamo), in relazione a tutte le condotte contestate al proprio Presidente; 3. Paolo Dondarini e Tiziano Pieri, rispettivamente arbitri delle gare Reggina-Brescia del 5 dicembre 2004 ed Udinese-Reggina del 23 gennaio 2005 ai sensi dell’art. 6, comma 7 Codice Giustizia Sportiva per non aver adempiuto all’obbligo di informare senza indugio i competenti organi Federali di essere venuti a conoscenza che terzi avevano posto o stavano per porre in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato delle gare medesime. Alla base dell’atto di deferimento veniva posto il materiale probatorio raccolto nel corso delle indagini ed in particolare le intercettazioni telefoniche, acquisite grazie al coordinamento con i competenti Uffici giudiziari procedenti, anche per i medesimi fatti oggetto del procedimento in ambito sportivo. Si ponevano in particolare rilievo l’assiduità delle conversazioni telefoniche tra Foti e Bergamo, i rapporti di consolidata conoscenza tra gli interlocutori, generatori di reciproco affidamento, l’inattendibilità delle difese degli incolpati e si concludeva nel senso dell’attitudine di tali condotte a determinare l’alterazione, oltre che di singole gare, anche della classifica dell’intero campionato. La Procura Federale passava, specificamente, in rassegna le intercettazioni riguardanti le varie gare considerate, sia nella prospettiva della alterazione della intera classifica che in quella della alterazione dei singoli risultati, pervenendo anche ad individuare una responsabilità per omessa denuncia degli illeciti di cui sarebbero venuti direttamente a conoscenza relativamente a gare di cui avrebbero dovuto assumere la direzione gli arbitri Pieri e Dondarini. La competenza della Commissione di Appello Federale veniva, infine, individuata ai sensi del combinato disposto degli artt. 26, comma 1, ultima parte, e 37 comma 1, CGS conformemente alla giurisprudenza del medesimo organo adito quanto alla assimilabilità degli arbitri ai dirigenti federali, ed alla forza attrattiva esercitata alla competenza del Giudice di rango superiore rispetto a quella, astrattamente prospettabile con riferimento a talune categorie di incolpazioni, di Giudici appartenenti ad un plesso sottoordinato. Compiuti i preliminari di rito, il dibattimento si svolgeva davanti alla CAF nel corso della seduta del 13 agosto 2006, durante la quale il Collegio adottava provvedimenti ordinatori con i quali, per quanto ancora rileva: a) ammetteva l’intervento delle società terze Avellino e Lecce alle quali riconosceva l’interesse concreto di cui all’art. 29, comma 3, CGS, escludendo, per il difetto di tale requisito, quelli delle Società Brescia e Treviso, sotto lo specifico profilo che la classifica dei campionati di serie A e B delle stagioni sportive 2004/2005, 2005/2006 non appariva suscettibile di riflessi nei loro confronti; b) rigettava l’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, alla stregua del costante orientamento della giurisprudenza sportiva; c) ammetteva la produzione documentale e le videocassette di cui la società Reggina aveva chiesto l’acquisizione. In esito all’istruttoria, la CAF, con decisione del 14 agosto 2006, pubblicata nel C.U. 5/C del successivo 17 agosto: a) dichiarava Pasquale Foti colpevole delle violazioni di cui all’art. 1 CGS contestate con riferimento all’esistenza di contatti impropri con Bergamo ed alle gare esterne della sua Società con l’Atalanta, la Sampdoria ed il Palermo ed infliggeva a lui la sanzione dell’inibizione per due anni e sei mesi nonché quella della ammenda nella misura di 30 mila euro ed alla società Reggina, a titolo di responsabilità diretta, quella di 15 punti di penalizzazione in classifica, da scontarsi nella stagione sportiva 2006/2007 e della ammenda di 100 mila euro; b) escludeva quanto al primo incolpato i concorrenti addebiti di cui all’art. 6 citato; c) proscioglieva Dondarini e Pieri dalle incolpazioni loro ascritte perché il fatto non sussiste. I primi giudici, dopo aver diffusamente ribadito le proprie ordinanze istruttorie, osservavano che: 1. Con riferimento alle tre gare delle quali era stata specificamente contestata l’alterazione non era stata raggiunta la prova piena, e cioè oltre ogni ragionevole dubbio, della ricorrenza di condotte idonee a produrre il risultato, sussistendo solo alcune affermazioni di BERGAMO, “intese ovviamente a tranquillizzare il suo interlocutore”; 2. Con riferimento a tutte le altre gare, suscettibili di venire in rilievo nell’ottica, espressamente adottata dalla Commissione, della alterazione generale della classifica configurabile come fattispecie autonoma di illecito, ai sensi dell’art. 6 citato, che le condotte addebitate al FOTI non integravano l’illecito sportivo contestatogli, pur essendo in esse sicuramente ravvisabili reiterate violazioni dell’art. 1 comma 1 C.G.S. In particolare, la Commissione si pronunciava nel senso che la pur provata amicizia tra BERGAMO e FOTI, che costituisce il sostrato psicologico dei loro reiterati rapporti, non fosse idonea all’affermazione dell’esistenza del condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale dedotto nell’atto di deferimento, e da intendere quale potere di influenzare l’azione e la composizione delle relative terne e di imporre nomi e designatori, circostanze della cui esistenza non sarebbe emersa la prova alla luce delle intercettazioni acquisite, solo dimostrative di sollecitazioni di Foti a Bergamo successive alle designazioni già avvenute. La CAF riteneva, piuttosto, sussistenti le plurime violazioni dell’art. 1 nelle condotte di FOTI, in quanto egli con le stesse aveva strumentalizzato un rapporto confidenziale e di amicizia con il designatore per accedere a notizie e formulare sollecitazioni, come provato da specifiche conversazioni telefoniche relative a numerose gare e specificamente illustrate nel corpo della motivazione; 3. Era automatica l’affermazione di responsabilità diretta della Reggina in relazione a quella prima indicata del proprio Presidente, con esclusione della presunta per il fatto di Bergamo, ormai cessato di appartenere all’Ordinamento federale. 4. L’esclusione della sussistenza di qualsivoglia illecito sportivo faceva venir meno il presupposto dell’incolpazione a Pieri e Dondarini, prosciolti per insussistenza del fatto dall’accusa di omessa denuncia di illecito. Contro tale decisione venivano proposte le impugnazioni di seguito descritte. In primo luogo il Procuratore Federale censurava il provvedimento limitatamente alle posizioni di Foti e della Reggina, in relazione alla esclusione della loro responsabilità ai sensi dell’art. 6, che avrebbe dovuto essere affermata per effetto della prova certa che le condotte in esame erano dirette al condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale, reso possibile dal rilevante ruolo di Bergamo e dai sui rapporti con Foti, ed a favorire la Reggina nella sua posizione in classifica. La Procura lamentava, inoltre, che la sanzione irrogata alla Reggina, riguardasse il campionato 2006/2007 e non quello precedente, su cui sarebbe stato ben possibile intervenire in termini di concreta efficacia. La Reggina Calcio spa e Foti impugnavano la decisione lamentando: 1. L’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche sia ai sensi della C.E.D.U. del 1950 che degli artt. 266 e 271 cpp; 2. Molteplici violazioni del diritto di difesa in sede istruttoria; 3. Nel merito, l’insussistenza delle condizioni poste dall’art. 1 con riferimento alle condotte di Foti, da ritenersi prive del carattere di slealtà e scorrettezza, e, comunque, l’assenza in tali condotte del necessario elemento psicologico; 4. L’eccessività della sanzione. La decisione veniva, altresì, impugnata da una sola delle Società terze già ammesse al dibattimento di primo grado, il Lecce, la quale, riaffermata la ricorrenza del proprio interesse all’esito del procedimento, denunciava molteplici errores in iudicando sia con riferimento alla valutazione e qualificazione delle condotte oggetto di incolpazione che in ordine ai criteri utilizzati in sede di determinazione delle sanzioni, peraltro ritenute inique e realizzatrici di disparità di trattamento, nonché omessa pronuncia in ordine alla violazione dell’art. 1 riguardo alle gare esterne della Reggina con Atalanta, Sampdoria e Palermo. La decisione veniva, altresì, impugnata dalla Società Treviso che lamentava, in primo luogo, l’esclusione dal procedimento di primo grado, ingiustificata alla stregua dell’interesse diretto e concreto alla permanenza in serie A nella stagione sportiva 2006/2007, dipendente da una possibile sanzione retrocessiva a carico della Reggina, e censurava, inoltre, la decisione impugnata per l’erronea valutazione delle risultanze probatorie che avrebbero dovuto portare i primi giudici ad affermare la sussistenza delle violazioni dell’art. 6, contestate nell’atto di deferimento. Analogamente, la Brescia Calcio spa censurava la decisione impugnata sia nella parte in cui, nell’escludere la sua partecipazione al procedimento di primo grado, aveva rilevato l’insussistenza di potenziali vantaggi per l’appellante dalla eventuale assegnazione della Reggina ad una serie inferiore, che avrebbe prodotto un vuoto nell’organico del prossimo campionato di serie A con l’assegnazione ad essa, (retrocessa al termine della stagione 2004/2005) del posto vacante, sia nella parte concernente il merito, ed in particolare la valutazione delle condizioni necessarie ad integrare l’illecito sportivo di cui all’art. 6, ed in special modo delle condotte capaci di assicurarne la realizzazione. Espletati gli adempimenti rituali veniva fissata per la trattazione del procedimento la seduta del 25 agosto 2006, alla quale erano presenti tutti i soggetti impugnanti. In sede di compimento degli atti liminali veniva depositato, dal comune rappresentante delle Società Brescia e Treviso, un’istanza, congiunta, di ricusazione nei confronti della Corte nell’interezza della sua composizione (successivamente al deposito di tale istanza ed alla dichiarazione della Corte di ritirarsi in Camera di Consiglio per esaminarla, veniva inviato per fax dal Procuratore della Repubblica aggiunto di Bologna un documento attestante il deposito della medesima istanza da parte del difensore del Brescia presso quell’ufficio e segnalante che sarebbe stato rifiutato dai funzionari della segretaria di questa Corte il ricevimento dell’istanza di cui era latore un incaricato del difensore del Treviso): sentite le altri parti presenti, che concludevano per il rigetto dell’istanza, la Corte pronunciava l’ordinanza che qui di seguito si trascrive: “La Corte, pronunciando, in via preliminare sulla richiesta di ammissione al presente procedimento delle società Treviso e Brescia, escluse dal giudizio davanti alla Commissione d’Appello Federale, osserva che i primi Giudici sono pervenuti a tale decisione considerando l’insussistenza di un interesse delle medesime, anche in via ipotetica, in relazione al giudizio. In particolare i Giudici di primo grado hanno rilevato che anche l’eventuale assegnazione della società oggi deferita ad una serie inferiore non sarebbe idonea ad attribuire alle due società impugnanti, peraltro portatrici di interessi contrastanti, alcun potenziale vantaggio. Ciò premesso, la Corte ritiene che le ragioni poste dai primi Giudici a fondamento della propria decisione resistano alle censure degli impugnanti, tenuto conto della normativa vigente in materia di ripescaggi in vista del Campionato di Serie A 2006/2007, delle relative procedure e dei criteri di priorità in essa stabiliti, dalla cui applicazione esulerebbero le posizioni sia del Brescia che del Treviso (cfr. C.U. 167/A del 5 febbraio 2006).Va, pertanto, esclusa la loro partecipazione al presente grado di giudizio, con la conseguente improponibilità dell’istanza di ricusazione in questa sede formulata, che presupponeva il possesso della qualità di parte interveniente che con il presente provvedimento va, come detto, negata. P.Q.M.Non ammette l’intervento delle società Treviso e Brescia e, per l’effetto, dichiara improponibile l’istanza di ricusazione formulata in questa sede. Così deciso nella Camera di Consiglio del 25 Agosto 2006.” Al termine dell’istruttoria e dopo che ciascuna delle parti aveva svolto le proprie difese finali anche in replica, la Corte si ritirava per la decisione il cui dispositivo veniva pubblicato nel CU 4/C del 26 agosto 2006. III. MOTIVI DELLA DECISIONE Va, preliminarmente, dato atto che la Società Avellino, ammessa a partecipare, quale terzo interveniente, al giudizio di primo grado, non ha impugnato la decisione né si è costituita nel presente grado, ciò che determina la sua conseguente estromissione dal procedimento. Sempre in via preliminare, va ribadita l’ordinanza riportata nella parte espositiva, ad illustrazione dei cui argomenti è utile aggiungere quanto segue. Condizione logicamente antecedente alla proposizione dell’istanza di ricusazione in qualunque sfera ordinamentale, non può che essere quella dell’assunzione della qualità di parte nel procedimento nel corso del quale o in occasione del quale viene proposta. E ciò per l’evidente ragione che solo tale qualità, da un canto, radica l’interesse alla proposizione dell’istanza ed al conseguimento degli effetti con essa perseguiti, e, d’altro canto, è idonea ad assicurare a chi la possiede lo statuto di diritti e tutele dall’ordinamento previsti ed attribuiti, nel presupposto della partecipazione, a pieno titolo riconosciuta, al procedimento. Se si abbandonasse questa strada maestra si dovrebbe ammettere l’abnorme ipotesi che si propone un’istanza di ricusazione, pur senza essere parte del procedimento, al solo scopo di ottenere l’effetto sospensivo di una “res inter alios acta” e di pregiudicare – con insopportabili ripercussioni nell’ordinamento, tanto più chiare in quello statuale - l’amministrazione stessa della Giustizia e, comunque, il suo funzionamento in tempi ragionevoli. Nessuna di queste conseguenze sarebbe tollerabile dal punto di vista della credibilità di ogni ordinamento; allo stesso modo esse sarebbero destituite di qualunque serietà logico-giuridica. A questa stregua, precondizione per la delibazione dei provvedimenti conseguenti alla formulazione del tipo di istanza di cui si discute è la verifica dell’attribuibilità della qualità di parte a chi l’abbia proposta. A tal proposito, è agevole la considerazione che la competenza a tale giudizio non possa che necessariamente rintracciarsi in capo al giudice davanti al quale si discute la questione, pur in contemporanea pendenza dell’istanza di ricusazione. In questo senso si rivela decisivo un doppio ordine di motivi. In primo luogo, la questione relativa all’identificazione delle parti (tanto in senso puramente formale, quanto, come nel caso di specie, in senso sostanziale e, quindi, di “legitimatio ad causam”) appartiene tipicamente a quelle preliminari di merito, alla cui soluzione è, prima di ogni altra e secondo i principi generali, chiamato il giudice della cognizione. In secondo luogo, se si ritenesse, in contrasto con il tipico assetto del giudizio di cognizione e della sequenza delle sue tesi procedimentali, la proposizione di un’istanza di ricusazione da chi non abbia ancora assunto la qualità di parte, ed in pendenza (come ancora una volta si registra nel caso di specie, in cui sono presenti soggetti che contraddicono la legittimazione sostanziale dei ricusanti in quanto portatori di interessi eguali e contrari, quali quelli difesi dalla società Lecce) di una controversia sulla relativa attribuibilità, possa valere a sottrarre il potere-dovere di giudizio all’organo giudicante investito, si finirebbe, surrettiziamente, per ottenere quella “traslatio iudicii”, nonché l’effetto sospensivo, che è, al contrario, tipicamente realizzabile in virtù di una rituale richiesta di ricusazione. Ciò porta la Corte ad esprimersi, senza alcuna esitazione, sulla questione pregiudiziale, costituita dall’accertamento che Brescia e Treviso possano essere ammesse al presente procedimento quali parti intervenienti, in quanto portatrici di un interesse indiretto anche in classifica. Va premesso che, nel sistema delineato dal codice di giustizia sportiva in tema di procedimento disciplinare, la posizione del terzo portatore di interessi indiretti è regolata con perfetta simmetria in ogni grado di giudizio, in modo da riservare sempre e comunque alla cognizione del giudice, dei vari stati e gradi, la questione dell’ammissibilità dell’intervento del terzo stesso, escludendosi, quindi, qualunque automatismo tra la semplice richiesta di partecipazione al procedimento, o, come previsto dal comma 4 dell’art. 37 CGS, la proposizione dell’appello contro la decisione del giudice “a quo” reiettiva dell’istanza, e l’assunzione della qualità di parte, e del relativo status, e la conseguente partecipazione al procedimento. Ciò detto, è da ribadire che è immune da ogni censura il ragionamento con cui la CAF si è espressa nel senso che le odierne terze impugnanti non potessero essere definite interessate, anche in via ipotetica, alla partecipazione al procedimento, non potendone (dal relativo esito) ricavare, nemmeno in astratto, alcun beneficio. Ed invero, la Corte osserva che l’interesse che guida le impugnanti è quello ad una sanzione nei confronti dell’unica società deferita che, o per effetto di retrocessione all’ultimo posto in classifica o in virtù di provvedimento di esclusione dal campionato di competenza, possa consentirne il ripescaggio alla luce dei criteri vigenti. Ora, proprio tali criteri eliminano, in radice, la possibilità di effetti utili per le impugnanti (le quali, peraltro, si trovano in una posizione di reciproco conflitto di interessi tra loro elisivi, che rende incompatibile la comune difesa incidentale, nonché la comune rappresentanza nelle fasi preliminari dell’odierno dibattimento), come è agevole dedurre dal CU 167/A del febbraio 2006, le cui disposizioni sono astrattamente capaci di ridondare a favore dell’U.S. Lecce, legittimamente ammessa alla partecipazione. Per semplice completezza va aggiunto che l’ammissione di più società terze controinteressate si concilia, al contrario, con l’ipotesi del deferimento di una pluralità di società, suscettibili di subire sanzioni dalle quali potrebbe sorgere l’aspettativa di ripescaggi molteplici in conformità alle disposizioni vigenti (come avvenuto nel procedimento di cui al C.U. 1/C della CAF del luglio 2006). L’indagine, sin qui, condotta porta all’inevitabile conclusione che Brescia e Treviso sono prive dell’interesse qualificante che solo le avrebbe legittimate a partecipare al presente procedimento ed a escludere intuitivamente il possesso della qualità di parte in costoro. Da tale conclusione deriva l’assenza del presupposto per la proponibilità dell’istanza di ricusazione, nonché della stessa impugnazione, nella quale, peraltro, non era nemmeno adombrata, pur potendosi, la richiesta stessa, Con riferimento all’istanza di ricusazione, si offre, alla Corte, l’occasione per rilevare l’esistenza di un’aporia nell’ordinamento federale, che è auspicabile sia, con urgenza, colmata nel necessario cammino di una sempre più stretta uniformazione del diritto sportivo ai principi fondanti del diritto statale, consistente nella mancata implementazione, da parte del Codice di Giustizia Sportiva, della norma dell’art. 30, comma 1, ultimo punto, dello Statuto Federale secondo cui “Il codice di giustizia sportiva disciplina i casi di astensione e di ricusazione dei giudici”. Nelle more che questa previsione generale venga integrata attraverso le disposizioni speciali, è compito della Corte Federale interpretare la norma in modo da non frustrare l’astratta possibilità operativa degli istituti in parola, che certamente concorrono ad assicurare un giusto processo, bilanciandola, però, con l’essenziale ed inviolabile valore dell’ininterrotto flusso dell’attività giurisdizionale, il quale sarebbe irrimediabilmente impedito o turbato se, in assenza nel plesso giurisdizionale della FIGC di un organo astrattamente competente a giudicare delle istanze di ricusazione del Giudice di ultima istanza e nell’impossibilità, per il limite numerico previsto per la composizione di tale organo da parte dello stesso Statuto Federale, di comporre un collegio interamente nuovo rispetto a quello, in blocco, ricusato, si dovesse postulare l’effetto sospensivo, totale e senza previsione di durata, dell’intero procedimento cui volesse aspirare ogni mirata istanza di ricusazione. Ed allora, sembra alla Corte che, nelle more dell’indilazionabile integrazione ordinamentale (anche in punto di previsione delle sanzioni per la infondata proposizione di istanze di ricusazione), in relazione alla proposizione di istanze di ricusazione davanti ad organi di Giustizia Sportiva di ultima istanza composti statutariamente in numero tale da non assicurare la possibilità di totale rinnovo, né della relativa composizione soggettiva, né dell’organo nel suo complesso rispetto a quello ricusato, il Giudice dei presupposti della ricusazione non possa che essere quello stesso davanti al quale l’istanza viene proposta. E ciò allo scopo di non paralizzare la concreta e regolare amministrazione della giustizia, in perfetta analogia con quanto determinato in situazioni corrispondenti dell’ordinamento statale, quale quella protrattasi per un lungo periodo di tempo, anteriore al recente intervento delle Corte Costituzionale, davanti alla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistrature finché non si è prevista l’integrazione del numero dei componenti supplenti, in modo da garantire una composizione collegiale autonoma e totalmente diversa per le ipotesi di ricusazione dell’altro collegio. Per concludere sul punto discendente dall’istanza di ricusazione, va posto in rilievo che talune espressioni, in essa racchiuse, possiedono “prima facie” il carattere corrispondente, in via analogica, a quello represso dall’art. 89 c.p.c, sicché deve ordinarsene la cancellazione: la Corte fa riferimento in particolare all’ultimo periodo della quinta pagina, pur non numerata, dell’istanza (“Del resto ………”) ed alla sua prosecuzione nei primi due righi della pagina seguente (“innovazione ermeneutica”). Quanto alla questione, reiterata anche in dibattimento, dell’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche di provenienza penale nel presente procedimento, la Corte osserva che i primi giudici hanno, sia nell’ordinanza dibattimentale, che in sede di decisione di merito, fatto puntuale, ampia e motivata applicazione dei principi di diritto costantemente ed incondizionatamente adottati dalla giurisprudenza federale in materia (cfr. da ultimo, la decisione della CAF, pubblicata nel CU 1/C citato, nonché quella di questa Corte nel CU 2/CF del 4 agosto 2006). In assenza di argomenti e situazioni nuove, la Corte ritiene con certezza che non esista alcuna apprezzabile ragione per discostarsi da tale orientamento e che vada, pertanto, giudicato utilizzabile il materiale probatorio in questione, anche nella sua funzione di ricognizione storica di accadimenti. Venendo, finalmente, al merito la Corte osserva quanto segue. In primo luogo, va chiarito, così rispondendo ad uno specifico e diffuso motivo di impugnazione della Società Lecce, che dal coordinamento tra motivazione e dispositivo delladecisione impugnata emerge come la condanna in essa inflitta alla Società Reggina riguardi in effetti tutte le violazioni di cui, ai sensi dell’art. 1 CGS, il suo Presidente Foti è stato dichiarato colpevole, le quali, a propria volta, concernono il complesso di tutte le condotte a lui originariamente contestate e, poi, diversamente qualificate dai primi giudici. E’ da ritenere che nessuna delle condotte naturalisticamente intese del Foti, di cui la Reggina è stata dichiarata responsabile in via diretta, sia sfuggita a sanzione, malgrado l’inquadramento in diverso paradigma normativo. Il punto nodale del presente giudizio è costituito dalla rilevanza, in termini di giustizia sportiva, delle condotte ascritte al Presidente della Reggina Pasquale Foti quali si percepiscono dalla intercettazioni telefoniche acquisite agli atti e recepite nell’atto di deferimento. Le varie impugnazioni proposte oscillano tra l’affermazione di assoluta irrilevanza disciplinare (o in sè o per difetto dell’elemento soggettivo, ed è il caso dello stesso Foti e della Reggina), e quella di riconducibilità all’ipotesi dell’illecito sportivo ed al relativo trattamento sanzionatorio (è il caso della Procura Federale e della Società Lecce). Tale speculare valutazione si riflette, tanto sulla incolpazione di alterazione sistemica della posizione in classifica della Società Reggina nel campionato di serie A 2004/2005 di cui al capo 1, quanto sull’accusa di illecito sportivo con riferimento a singole gare esterne della medesima (con la Atalanta, la Sampdoria e il Palermo, di cui rispettivamente ai capi 3, 5 e 8). Per giudicare della fondatezza delle singole impugnazioni è necessario muovere dall’ordine argomentativo utilizzato dai primi giudici. Questi, nel verificare la sussistenza delle ipotesi di illecito contestate, hanno operato una distinzione, destinata a riverberarsi sul regime probatorio applicabile, tra quelle di carattere sistemico, e le altre, di carattere specifico. Relativamente a queste ultime, la CAF ha mostrato di aderire al proprio indirizzo (reso palese nella decisione del 14 luglio 2006, successivamente confermato “in parte qua” da questa Corte con la decisione già citata) secondo cui al risultato alterativo di una singola gare può pervenirsi, ai sensi dell’art. 6, commi 1 e 2, CGS, solo allorchè si è raggiunta la prova piena, e cioè oltre ogni ragionevole dubbio, della concreta idoneità dell’atto e, con particolare riguardo al caso che alla alterazione debba giungersi attraverso la partecipazione della componente arbitrale, dell’avvenuto contatto, sia pure a mezzo di una semplice telefonata, con almeno uno dei membri della terna. La Commissione ha ritenuto che le risultanze processuali non consentissero di affermare che una simile prova fosse stata raggiunta vuoi (con riferimento alla prima delle tre gare incriminate) per la mancata indicazione del componente la terna cui il designatore Bergamo interlocutore di Foti, si sarebbe rivolto; vuoi per la insuperata smentita del contatto da parte dell’arbitro Dondarini, incaricato di dirigere la seconda partita; vuoi per la genericità ed equivocità delle assicurazioni fornite da Bergamo circa l’arbitraggio della terza gara; vuoi, in via generale, per la ragionevole presunzione che Bergamo intendesse acquisire o mantenere agli occhi dell’interlocutore meriti reali o supposti in vista della attesa riforma del sistema di designazione degli arbitri. Ciò premesso, la Corte rileva, che la base su cui poggia la decisone impugnata è solida e resistente ad ogni censura indirizzata nei suoi confronti. Ed invero, è da condividere – così confutandosi i contrari argomenti dell’accusa e della terza controinteressata - l’impostazione secondo cui la configurazione dell’illecito sportivo di cui all’art. 6, comma 1, CGS con riferimento a condotte dirette ad alterare lo svolgimento o il risultato di una singola gara per mezzo della interferenza della componente arbitrale, è subordinata alla combinazione di un doppio segmento di condotte necessarie ai fini della integrazione dell’illecito stesso, costituite, rispettivamente, da quella propositiva o postulante della Società interessata per il tramite di propri rappresentanti ovvero di dirigenti, soci e tesserati, e da quella, adesiva o quanto meno recettiva della proposta o sollecitazione, imputabile alla componente tecnica. In difetto di tali segmenti deve ritenersi, se autonomamente apprezzata e considerata, l’inidoneità delle condotte appartenenti al primo di essi rispetto al conseguimento dello scopo (così la decisione della CAF del 14 luglio 2006 più volte citata). Ad avviso della Corte si tratta di un ragionamento perfettamente compatibile con la struttura della norma incriminatrice, la quale scorge nella direzione dell’atto allo scopo alterativo l’elemento costitutivo della fattispecie, così consegnando all’interprete il giudizio circa il carattere di direzione allo scopo posseduto dalla condotta, giudizio il cui esito positivo naturalmente può solo derivare dalla presenza di elementi che dimostrino che l’atto potesse prestarsi nella sua complessità ad indirizzarsi nella sfera del disvalore punito (senza che debba necessariamente realizzarsi in concreto il risultato). E naturalmente questa capacità direzionale và disconosciuta alla condotta che nasca fin dall’origine priva di questo contrassegno, nel senso che, se dalla dichiarata o percepibile intenzione del proponente o del postulante dell’illecito si arguisce che il mezzo cui affidarne l’esecuzione consiste nell’intervento della componente arbitrale in forma diretta (cioè di interlocuzione immediata con uno di tali soggetti) o in forma indiretta (e cioè, come nel caso di specie, attraverso un intermediario), il mancato coinvolgimento di questa direttamente o indirettamente non può che equivalere alla negazione nella condotta iniziale del carattere della direzionalità, con conseguente inassoggettabilità al regime dell’art. 6 comma 1. Del resto, la stessa CAF aveva osservato – così ponendo un argomento dimostrativo della infondatezza dell’assunto secondo cui la giurisprudenza cui qui si aderisce avrebbe un preteso carattere innovativo – nel CU 32/C, del 27 maggio 1999, nel procedimento a carico dell’U.S. Siracusa, che “la prova del tentativo di illecito consiste nella dimostrazione dell’esistenza di atti non equivoci intrinsecamente diretti a realizzare l’evento previsto dalla norma”, in modo che possa acquisirsi la prova che” la proposta illecita, sia pur mediante l’intermediazione di un terzo soggetto, è stata portata a conoscenza della persona alla quale era diretta, così da costituire quel comportamento di pericolo, avente in se l’idoneità ad assumere la fisionomia di un attentato al bene giuridico protetto, che realizza l’illecito sportivo” (cfr., in conformità, CAF in CU 10/C, del 23 settembre 2004, relativo alla gara Chieti-Catanzaro, del 16 maggio dello stesso anno, secondo cui “l’illecito, per essere produttivo di effetti disciplinari, deve aver superato sia la fase dell’ideazione che quella cosidetta “preparatoria” ed essersi tradotto in qualcosa di apprezzabile, concreto ed efficiente per il conseguimento del fine auspicato”: la massima espressamente rinvia al precedente della CAF di cui al CU 18/C, del 12 dicembre 1985). Per concludere sul punto di carattere generale non va trascurato che a rendere nel presente procedimento ed in quelli definiti con la decisione di questa Corte del 25 luglio 2006 ancora più vigile l’organo giudicante nella adozione di un adeguato regime probatorio sta la singolarità, rispetto a quelle tradizionali, delle condotte, nel senso che la proposta o la richiesta dell’incolpato non si accompagna mai alla promessa o alla dazione di denaro o di altra utilità e si sostanzia solo “verbis” e non “re”. La decisione, va, altresì, condivisa e confermata anche con riferimento alla valutazione di merito che, alla luce del principio di diritto appena riferito, ha operato rispetto alle condotte contestate a Foti nei termini risultanti dalla conversazioni telefoniche intercettate. Ed invero, per quanto concerne la gara Atalanta-Reggina del 28 novembre 2004, nella conversazione tra Foti e Bergamo non vi è nulla che provi che quest’ultimo abbia affettivamente preso contatti con l’arbitro e con gli assistenti, se non una generica ed indeterminata frase “già fatto, già fatto stai tranquillo” pronunciata in risposta ad un invito del Foti “a fargli qualche telefonata” in relazione alla gara. Ed invero, mancano elementi convincenti circa il fatto che uno o più componenti la terna arbitrale siano stati quanto meno sollecitati da Bergamo ad indirizzare la propria prestazione tecnica in modo da favorire la Reggina o che abbiano addirittura prestato adesione all’ipotetica richiesta. Analogamente, per ciò che concerne la gara Sampdoria Reggina del 20 febbraio 2005, vi è agli atti l’intercettazione della telefonata intervenuta 3 giorni prima tra i medesimi interlocutori, nel corso della quale l’unico riferimento interessante potrebbe essere costituito dalla frase di Foti (riferita ad uno degli assistenti già designati, Giorgio Niccolai di Livorno, di cui si era parlato nella prima parte della telefonata) a Bergamo “mi raccomando quello di Livorno” e dalla risposta di Bergamo “stai tranquillo, quello è già fatto, poi per l’arbitro vediamo domani chi vien fuori”. Ora, la Corte rileva che lo scambio di battute non offre la prova piena e certa che Bergamo abbia effettivamente parlato con Niccolai per indurlo ad una prestazione favorevole alla Reggina e che il “già fatto” indichi proprio la verificazione di questa evenienza. Peraltro, è anche da rilevare che nel corso dell’accurata istruttoria dell’Ufficio Indagini, il guardalinee ha negato recisamente e senza essere smentito di aver avuto qualsiasi contatto con Bergamo in occasione della gara. Allo stesso modo, non può dirsi provato alcun contatto tra Bergamo e l’arbitro della gara Dondarini (che lo ha, anzi, ancora una volta senza essere smentito, espressamente negato), non potendosi attribuire efficacia probante alla frase pronunciata dal designatore arbitrale nel corso della telefonata del 19 febbraio 2005, che si presume (in mancanza di un esplicito e diretto riferimento all’arbitro) inerire all’atteggiamento dello stesso direttore di gara, che lo avrebbe “….. avvertito, doverosamente”. Ora, è agevole per la Corte rilevare che mancano riscontri a questa generica affermazione e che essa potrebbe – come già accaduto per analoga espressione usata per la gara esterna con la Atalanta – rivelare solo l’intendimento del designatore di tacitare l’insistenza di Foti senza perderne fiducia o riconoscenza. Non dissimile è infine, l’interpretazione della conversazione tra l’incolpato ed il suo abituale sodale telefonico alla vigilia della gara di Palermo del 15 maggio 2005, nel corso della quale, parlandosi dell’”omino” (certamente da identificarsi nell’arbitro, come emerge dal contesto della trascrizione relativa alle precedenti prestazioni di Pieri), alla consueta implorazione di Foti (“ti raccomando”), Bergamo risponde con il clichè “già fatto”. Ancora una volta l’arbitro Pieri ha smentito il contatto e la frase di Bergamo appare generica, di stile e vuota di attitudine probatoria sufficiente. Alla luce di queste considerazioni, va giudicata congrua ed esatta la statuizione relativa alle tre gare in questione ed all’esclusione di responsabilità ex art. 6, ferma restando la loro rilevanza nella prospettiva dell’art. 1. La Commissione ha poi esaminato il primo capo di incolpazione, in cui si contesta a Foti di aver tenuto condotte, consistenti in ripetuti contatti con Bergamo, al tempo stesso integranti concorrenti violazioni degli artt. 1 e 6 CGS, dirette a procurare un vantaggio a favore della Reggina mediante il condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale e la lesione dei principi di alterità, terzietà, imparzialità ed indipendenza tipici della funzione arbitrale, con l’aggravante della pluralità di condotte. La conclusione cui sono motivatamente giunti i primi giudici è che le condotte contestate al Foti al n. 1 dell’atto di deferimento ed alla Reggina a titolo di responsabilità diretta rilevavano esclusivamente quali sintomi della violazione della generale clausola comportamentale dell’art. 1, senza integrare l’illecito sportivo contestato. La statuizione è, per ragioni ed in ottiche opposte, criticata dagli incolpati, sotto il profilo dell’insussistenza di tale violazione e, comunque, della mancanza dell’elemento soggettivo coessenziale, e dalla Procura Federale e dal Lecce, sotto il profilo dell’erronea esclusione nelle plurime condotte dei deferiti del carattere di illiceità denunciato nell’atto di accusa. Ciò premesso, la Corte ritiene che la decisione sia ineccepibile e meriti di essere confermata con il rigetto di tutti gli appelli. La prima questione da affrontare in ordine logico – perché la sua soluzione nei termini radicali prospettati dai deferiti avrebbe precluso l’esame delle impugnazioni volte ad una riforma peggiorativa della decisione – riguarda la configurabilità di una fattispecie di illecito sportivo autonoma dalle altre due figure descritte dall’art. 6, comma 1, (consistenti nel compimento di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara) avente ad oggetto il compimento di atti diretti ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica. La risposta data dalla CAF, mutuata dalla propria più recente giurisprudenza, è stata positiva. Essa merita di essere approvata senza riserve. Ed invero, l’ottenimento di un illecito vantaggio in classifica ben può sia logicamente che empiricamente determinarsi per cause eteronome rispetto all’alterazione dello svolgimento o del risultato di una singola gara. Ciò può avvenire quando una competizione o un torneo prolungati nel tempo (quali un campionato o una coppa) siano viziati da comportamenti sistematici e protratti che, dal punto di vista soggettivo, vengano sostenuti dalla specifica volontà di creare condizioni di favore nei confronti di società, destinati a ripetersi nel tempo e con i mezzi e le modalità più varie e non predeterminabili nonché attuati trasversalmente alle molteplici componenti dell’organizzazione calcistica, e che, dal punto di vista oggettivo, si avvalgano di mezzi adeguati al raggiungimento dello scopo, nel senso prima chiarito. Ora, è inconfutabile che la sistematica opera orientata al condizionamento del settore arbitrale ed a minarne le prerogative di imparzialità ed obiettività ed attuata mediante rinnovati nel tempo, indebiti contatti, condotti su un piano di superiorità psicologica atta a provocare la sudditanza del destinatario, (che si attenda vantaggi o si prefiguri rischi in relazione all’opera), con soggetti collocati in posizioni decisive del settore arbitrale possa in astratto dar vita alla violazione della parte dell’art. 6, in esame, a condizione che l’opera stessa sia in grado di superare il duplice test soggettivo ed oggettivo prima descritto. Più in particolare, ed in relazione alle circostanze rilevanti nel presente giudizio, l’opera di condizionamento del settore arbitrale può giudicarsi verificata ai sensi dell’art. 6 laddove rivesta i caratteri dell’incidenza indebita su funzioni tipiche ed essenziali di tale settore – quali valutazione, designazione delle griglie, sospensioni ecc., di arbitri ed assistenti di gara – e si risolva in una inframmettenza non doverosa nelle scelte tecniche della terna arbitrale, non solo con riguardo ad una singola gara ma programmaticamente rivolta a favorire una determinata squadra in ogni occasione utile della competizione. Così elaborata la cornice interpretativa che presidia alla figura di illecito in esame, resta da vedere se i primi giudici abbiano fatto buon governo delle regole cui hanno correttamente dichiarato di prestare adesione nel valutare le condotte di Foti. Ed ancora una volta la Corte non può che rispondere affermativamente, con l’intuitiva conseguenza che la presente pronuncia non consegue ad una astratta ed immutabile impostazione giuridica, ostativa al concreto accoglimento delle varie tesi accusatorie, ma è unicamente il frutto di una aprioristicamente non prefigurabile valutazione di stretto merito delle evidenze probatorie. Ad avviso della Corte, queste non lasciano campo all’accertamento di responsabilità domandata nei pur attenti e acuti atti di impugnazione della Procura Federale e del Lecce. Ed infatti, in nessuna delle conversazioni intercettate tra Foti e Bergamo (quest’ultimo sottrattosi alla Giustizia Sportiva attraverso provvide dimissioni intervenute nel momento utile di cui all’art. 36, comma 7, NOIF) sono riscontrabili manifestazioni del potere del primo di influenzare l’esercizio di funzioni arbitrali né sono ravvisabili espressioni di concreta interferenza nelle scelte tecniche della componente arbitrale potendosi, al contrario, cogliere un atteggiamento postulante e querimonioso verso il designatore arbitrale. Si tratta di comportamenti (impropri e severamente censurabili sotto l’aspetto deontologico, come si vedrà oltre) sideralmente distanti da quelli improntati ad arroganza, minacce, calcolate blandizie, erogazione di favori e vantaggi indebiti, assunzione di iniziative promozionali di incontri conviviali, ramificati interessamenti alle vicende di maggior rilievo del calcio italiano, imposizione delle o concorso nelle scelte funzionali dei dirigenti arbitrali, ostentazione del potere personale e societario, causazione di timore referenziale o di deferente ascolto nei vertici consiliari ed amministrativi della Federazione, riscontrati nel procedimento conclusosi con la recente decisione del 25 luglio 2006 di questa Corte. Non è, quindi proponibile alcun accostamento tra la presente vicenda e quella già definita. Ed infatti, il costante elemento contraddistintivo delle telefonate di Foti a Bergamo (non ve ne è agli atti una sola in cui l’iniziativa fosse stata presa dal designatore arbitrale, a differenza delle situazioni registratesi nel precedente giudizio in cui il “deus ex machina” riceveva, anche da esponenti di altre società, richieste di intervento grazie al suo riconosciuto potere condizionante dell’intero settore calcistico italiano) è quella della richiesta di rassicurazioni circa l’affidabilità della componente arbitrale designata per le singole gare e di generici interventi presso i relativi membri senza menzione alcuna di pressione o prospettazioni di vantaggi. Tutte le trascrizioni accuratamente passate in rassegna nel capo della decisione impugnata (da pag. 15 in fondo, a pag. 18), alle quali è sufficiente in questa sede fare rinvio testuale, sono denotative di una condizione psicologica del Foti né egemone, né dominante, né influente , né minacciosa, né profferente, ma semplicemente e genericamente pretensiva di “attenzione” verso la propria squadra (quasi ogni conversazione è contrassegnata da un supplice “mi raccomando” rivolto a Bergamo). Ora, queste considerazioni ed il collegato materiale probatorio estraneano le condotte ascritte al Foti dal canale incriminatorio dell’art. 6, come esattamente deciso dai primi giudici, per ricollocarle, come altrettanto esattamente stabilito, nel novero di quelle rivelatrici del disvalore vietato dall’art. 1 CGS (che ineccepibilmente l’atto di deferimento definisce capace di concorso formale con l’art. 6). Ciascuna di tali condotte, nonché quelle risultanti dai capi di incolpazione 3, 5 e 8, costituisce isolatamente considerata ed in continuazione con le altre, anteriori e successive, esecutive del medesimo disegno anti doveroso, indubbia violazione della clausola di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva. In esse si ravvisano in modo grave, ripetuto ed irriducibile una concezione strumentale del rapporto di consuetudine con Bergamo, la cinica volontà di approfittarne per ottenere informazioni o indicazioni ad altre società precluse, il disinvolto proponimento di effettuare “raccomandazioni” nella piena consapevolezza che proprio la cordiale conoscenza con il designatore avrebbe escluso sue rimostranze o reazioni che impedissero l’ostinata prosecuzione delle postulazioni, la ricerca di indebiti privilegi rispetto ad altre società. In una parola si tratta di comportamenti completamente contrari al rispetto dei doveri in questione, in cui quello dell’abituale frequentazione con un spregiudicato designatore arbitrale (noncurante del proprio dovere di distacco e sobrietà nei rapporti con i dirigenti dello società calcistiche) era lo schermo e non la causa dei rapporti, era il mezzo piuttosto che il fine, era la chiave di accesso ad una condizione privilegiata cui non aveva titolo ed a cui non aveva inteso rinunciare nel corso del tempo. Va, quindi, giudicata pienamente integrata, e con connotati di intensa gravità, la violazione dell’art. 1 da parte di Foti, con le conseguenziali ricadute, in termini di responsabilità diretta a causa dei suoi poteri rappresentativi, sulla società da lui presieduta. Anche le sanzioni irrogate dei primi giudici si rivelano congrue e proporzionate all’entità dei fatti, alla reiterazione nel tempo, alla intensità del dolo nonché all’offensività delle condotte rispetto al bene tutelato dall’art. 1. Quanto alla penalizzazione applicata alla Reggina nel campionato 2006/2007 la Corte osserva che essa va confermata tanto con riferimento alla determinazione dell’ambito cronologico di applicazione della sanzione, esattamente individuato nella competizione destinata a svolgersi nella stagione sportiva nel corso della quale viene pronunciato il giudizio disciplinare, quanto in relazione alla sua concreta afflittività, che ben si concilia con l’esigenza di proporzionatezza, garantita dalla serietà della pena da scontarsi e che sarebbe stata invece vulnerata se la punizione fosse consistita in una penalizzazione nel campionato precedente di tale intensità da risolversi in un trattamento (comportante le retrocessione in una serie inferiore) corrispondente negli effetti a quello che sarebbe conseguito alla affermazione di responsabilità ex art. 6, che è stata, al contrario, ritenuta insussistente. Ed in questo senso, può dirsi ben gradata la sanzione applicata alla Reggina, alla stregua della sua collocazione in classifica nei precedenti campionati di serie A, in confronto ad altre applicate a società differenti, maggiormente afflittive solo sul piano della preclusione a competizioni internazionali ma certamente meno pesanti in prospettiva futura (sia in termini di punteggio di penalizzazione che in termini di valutazione statistica della probabilità che si ripetano i risultati sportivi ottenuti nelle precedenti stagioni sportive). Conclusivamente, tutti gli appelli vanno rigettati e la decisione impugnata, va, quindi, confermata, con conseguente incameramento delle tasse. P.Q.M. la Corte Federale ha pronunciato il seguente DISPOSITIVO - Rigetta gli appelli proposti dalla Procura Federale, dalla Reggina Calcio S.p.A., da Pasquale Foti e dalla U.S. Lecce S.p.A. nei confronti della decisione della C.A.F. di cui al C.U. n.5/C del 17 agosto 2006. - Dichiara improponibili gli appelli proposti dal Treviso F.B.C. 1993 S.r.l. e dal Brescia Calcio S.p.A.. - Conferma, per l’effetto, la decisione impugnata. - Dispone l’incameramento delle tasse. Così deciso in Roma, seguito dalla Camera di Consiglio del 26 agosto 2006.
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